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L’IMPORTANZA DI ESSERE ONESTI

Il 14 febbraio del 1895 andava in scena per la prima volta “The Importance of Being Earnest” di Oscar Wilde.
La commedia, pregna del sottile e pungente acume del celebre autore, è incentrata su una serie di equivoci tra i protagonisti, come evoca lo stesso titolo. “Earnest“, in inglese “onesto, franco“, ha la stessa pronuncia di Ernest, nome proprio di persona.
Sullo sfondo di una rigida e composta società vittoriana, l’importanza di essere onesti si scontra con l’inclinazione a preservare ogni genere di apparenza e formalità, a costo di celare senza pudore la propria identità.

Attuale come solo le grandi opere sanno essere, la commedia porta all’attenzione l’eterno tema dell’onestà che anche oggi, dopo poco più di un secolo, fatica ancora ad emergere.
Assumersi la responsabilità delle conseguenze delle proprie azioni, compiere delle scelte, affrontare di petto una situazione scomoda, niente di tutto ciò regge il confronto con il confortevole nascondersi dietro un dito, “tanto passerà”.
Mentiamo, omettiamo, fingiamo di non vedere, di non capire, formuliamo una scusa prima ancora di prendere in considerazione una proposta, scriviamo sotto pseudonimo, telefoniamo in anonimo, diciamo “guida piano” invece di “ti amo” e aggiungiamo il finlandese alla voce “capacità e conoscenze pregresse” del nostro CV (come Becky in I love shopping. Chi ha il visto il film sa che non si tratta esattamente di una buona idea).

Noi, adulti anagrafici nostalgicamente inclini alla menzogna, come bambini timorosi di una punizione esemplare, ci facciamo carico dell’incombenza del falso e della necessità di una buona memoria per non cadere in fallo, pur di scendere a patti con una mezza verità indolore, perchè “la verità ti fa male”, cantava Caterina Caselli. E tutti i torti non aveva.

Ma l’onestà è madre della fiducia che, di conseguenza, ha uno spazio sempre minore nelle relazioni interpersonali.
Non ci fidiamo più, e come potremmo se siamo i primi a mentire?
La diffidenza è la lente di ingrandimento che ispeziona parole ed espressioni, alla ricerca del più piccolo fremito nervoso. Accettare un complimento è più faticoso che leggere una critica, credere ad uno sguardo pulito più difficile che immaginare il peggio e chiedersi: “dov’è la fregatura?”. Le aspettative che nutriamo nei confronti degli altri variano a seconda del grado di fiducia che attribuiamo loro e questo da un canto rappresenta un modo come un altro di proteggersi, come è naturale e giusto che sia, dall’altro è lo specchio di un disagio sociale che nasce da un bisogno mancato di onestà.

Quanto oltre riusciamo a spingerci? Come si smaschera una bugia? Quanta buona fede siamo disposti a concedere?
Lontani dal voler puntare il dito o esprimere un mero giudizio morale, prendersi qualche minuto per rispondere in modo sincero a questo genere di quesiti potrebbe rappresentare un primo passo verso una nuova attitudine, forse meno schiva, forse più razionale, sicuramente più coscienziosa.

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